top of page
fig Ottimismo elefante 1 .jpg

Ci possiamo educare all'ottimismo

Apprendere e praticare atteggiamenti costruttivi è una scelta individuale e razionale, lo sostengono gli studi sociali e cognitivi della Psicologia Positiva

L’ottimismo viene inteso comunemente come una predisposizione naturale a pensare in positivo, qualcosa che non viene deciso razionalmente. E lo stesso per il pessimismo. Scambiato addirittura in qualche proverbio per una scelta di maggiore realismo.

Qualcuno immagina che alla base ci sia una predisposizione genetica, tanto si sente parlare oggi di come siamo condizionati dal corredo biologico. 

Ma si trascura tutto lo spazio di scelta che abbiamo nei nostri atteggiamenti.

 

La verità è che possiamo decidere consapevolmente che stile assumeremo nello spiegarci gli eventi che accadono.

Nella visione dei pensatori antichi l’ottimismo non era altro che praticare le virtù, tendere al bene che coincide con il vero, il bello. Questo doveva fare il saggio, l’uomo migliore. Ma dopo secoli di odio, catastrofi, guerre e tutti gli orrori del ‘900, le filosofie di vita non sono più così semplici, niente appare più scontqato (con buona pace di chi ha nostalgia dei tempi passati) e ogni teoria sul buon vivere appare indebolita, con la sfiducia nelle istituzioni e in ogni altro riferimento etico.

Una prospettiva ricostruttiva potrebbe venire dagli studi della Psicologia Positiva (Martin Seligman, per citare uno degli autori più importanti), che da qualche anno ha sviluppato teorie promettenti ed efficaci, tra l’altro recuperando in parte la concezione classica delle virtù, chiamate oggi più laicamente “potenzialità” (o talenti).

 

La Psicologia positiva non coincide con il Pensiero positivo, che è una corrente secondo la quale (per semplificare) conviene focalizzare sempre gli aspetti positivi delle situazioni, perché è dimostrato che ciò produce a sua volta effetti positivi.

La Psicologia Positiva invece si pone come scienza che indaga su cosa sia la felicità, come avvenga che alcune persone la raggiungano; che elementi osservabili, descrivibili e riproducibili costituiscano la “felicità” e di conseguenza come si possa apprendere. Cerca di rispondere con metodo scientifico alle domande: cos’è la felicità? Perché certe persone sono più felici di altre? Perché alcuni riescono ad attraversare traumi anche gravi uscendone sereni o addirittura rafforzati; mentre altri soccombono? Che caratteristiche hanno le persone che si dichiarano felici? Si può apprendere l’abilità di essere felice?

La Psicologia positiva eredita molto e si appoggia su tante esperienze e teorie precedenti; però si discosta dalla gran parte di ciò che è stato detto, perché assume un paradigma radicalmente diverso: rinuncia a indagare quello che non funziona, la patologia, e al contrario, con approccio costruzionista, studia ciò che funziona nelle persone.

Pare banale, eppure è proprio così, che tanta parte della psicologia e delle scienze umane si è ridotta allo studio della patologia (quanta enfasi sui disagi giovanili) e solo recentemente si è imparato a valorizzare gli aspetti positivi dei sistemi, perché ciò costruisce una efficacia maggiore, e solo così si innalza davvero il livello di qualità della vita, compresa la felicità individuale e la motivazione esistenziale. L’approccio della terapia permetteva di passare dalla sofferenza profonda a una sofferenza lieve; ma solo un approccio positivo, costruttivo, può far innalza il benessere al di sopra della media.

Una delle materie che la Psicologia positiva studia è la resilienza (a cui abbiamo dedicato un articolo in passato), caratteristica che appartiene alla metallurgia e studia come un materiale riesce a resistere maggiormente agli urti. Anche in ecologia serve a descrivere come un sistema riesca a tornare al punto di partenza, di equilibrio, dopo uno sconvolgimento. Applicata come metafora agli esseri umani permette di indagare le caratteristiche personali che consentono concretamente il recupero.

Sull’ottimismo la Psicologia positiva ha formulato la teoria degli stili attributivi, una riflessione razionale su come le persone arrivano a diventare ottimiste o pessimiste.

Lo stile attributivo è la modalità prevalente che una persona utilizza per spiegarsi gli eventi, positivi o negativi, un insieme di operazioni cognitive ed emotive (con conseguenze sul piano del comportamento e delle scelte di vita) per individuare e decidere chi è il responsabile o  la causa di qualcosa che è accaduto.

 

L’ottimismo allora è descrivibile come una scelta personale, identificabile razionalmente, in due modalità: pervasività e permanenza.

L’ottimista di fronte a un evento positivo sceglie di credere che è dipeso da lui stesso, e accadrà ancora così positivamente (permanenza) e in molte altre aree della vita (pervasività). Nei confronti di un evento negativo invece sceglie di attribuire le cause alle circostanze e ritiene che si tratti di un fatto isolato e circoscritto.

 

Il pessimista fa proprio l’opposto: di fronte a un evento positivo sceglie di credere che è dipeso dalle circostanze e non accadrà più. Mentre è per un evento negativo che sceglie di attribuire a se stesso la causa del fallimento e ritiene che accadrà nuovamente (permanenza) e in tante aree della sua vita (pervasività). Il risultato concreto è che il pessimista arriva a diminuire le probabilità di essere efficace, abbassa l’autostima e di conseguenza la sua felicità.

L’ottimismo è dunque una scelta cognitiva che si attua quotidianamente di fronte  ad eventi positivi o negativi: inconsapevolmente scegliamo di valorizzarci o di sottovalutare le nostre responsabilità.

L’ottimismo dunque si può costruire ed apprendere. Come viene considerato anche dalla teoria del Locus of control, interno o esterno. 

Nel libro Autenthic Happiness (trad. in italiano La costruzione della felicità) Seligman fornisce un test semplice e utilizzabile su questa teoria.

Esso può essere usato come pretesto per riflettere sulla nostra responsabilità esistenziale, così forse possiamo dare spazio dentro la scuola alla educazione all’ottimismo.

Enrico Vaglieri

Bibliografia: M. Seligman, La costruzione della felicità, Fabbri 2007

bottom of page