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Emozioni da Inside out 19995797742_df578

Si può misurare

il profilo emotivo di ciascuno?

Il Quoziente emotivo come strumento

per migliorare la consapevolezza  

Da quando negli anni sessanta si è iniziato a usare il QI in America, inizialmente per valutare le reclute dell'esercito, esso è costantemente aumentato, ma intanto sta diminuendo la capacità di utilizzare adeguatamente le emozioni, ovvero il Quoziente Emotivo.

L'incremento costante del QI (oggi 24 punti in più in tutti paesi dell’Occidente industrializzato, indipendentemente dal ceto, dalla residenza e dal reddito) sembra dipendere dalla migliore alimentazione, maggior istruzione, disponibilità di più tempo libero, l'uso di videogiochi e di rompicapo e dalla dimensione delle famiglie - i bambini cresciuti in piccole famiglie hanno punteggi più elevati di QI.

Riflessioni paradossali. Ma esse diventano preoccupanti se consideriamo che tanto più i bambini diventano abili intellettualmente, tanto più diminuisce la loro intelligenza emotiva, il QE: i piccoli, oggi, crescono soli e depressi, collerici, nervosi e più indisciplinati, impulsivi e aggressivi, ciò che ha pesanti ripercussioni in seguito nelle relazioni interpersonali, in famiglia e sul lavoro. Ecco la necessità di educare le abilità prosociali.

Dopo i lavori di Goleman negli anni 90 (“L’intelligenza emotiva”, “Lavorare con l’intelligenza emotiva” e “Intelligenza sociale”) si è diffusa ampiamente la letteratura sul rapporto tra mente razionale e mente emozionale fino a costruire strumenti semplici ed efficaci anche in classe. Esistono molti test sul Quoziente emotivo: il più elaborato è il Bar-On; uno più semplice sta in Il quoziente emotivo di T.M. Carabin.

Uno strumento spendibile è quello per esempio fornito da Isabelle Filliozat, che si trova in “Il quoziente emotivo. Come usare le emozioni in modo intelligente”, della Piemme.

32 situazioni che aiutano a descrivere il profilo emotivo di una persona nelle diverse abilità: la consapevolezza emotiva (capacità di comprendere le proprie emozioni e distinguerle); il controllo emotivo (controllo di impulsi, emozioni e aggressività etero e auto diretta) e la facilità di espressione delle emozioni; la capacità di reagire alle frustrazioni e sapersi motivare di fronte agli ostacoli e verso i propri obiettivi ovvero il livello di autonomia e la fiducia in se stessi; l’empatia (capacità di riconoscere e condividere punti di vista ed emozioni altrui); la gestione efficace delle relazioni interpersonali (comunicare, negoziare conflitti e il problem solving) e la capacità di evoluzione in gruppo.

Più che uno strumento scientifico, questo può essere usato in aula come pretesto per far ragionare su come sono importanti le emozioni e il saperle gestire. Tra l’altro ciò potrebbe dare lo spunto a un docente di religione per esplorare l’universo di emozioni descritte, espresse e vissute nella Bibbia, quelle dei personaggi dell’AT e di dio, ma soprattutto quelle intense e paradigmatiche manifestate da Gesù nel NT.

Troppo spesso veniamo educati a non fidarci delle nostre emozioni, accusate di manipolare le informazioni fornite dall’intelletto. In realtà emozioni e intelletto costituiscono due metà di un intero. Il QI può aiutarci a capire ed affrontare il mondo ma sono le emozioni, il QE, a modulare il nostro agire.

I genitori e gli insegnanti hanno grande responsabilità nel fornire l’alfabetizzazione emotiva (J. Gottman "Intelligenza Emotiva per un figlio" Rizzoli), un processo di apprendimento che porta all’autoregolazione, così il bambino mantiene la propria emotività, ma anziché esserne assoggettato, impara a dominarla attraverso il proprio pensiero, così da massimizzare il benessere psichico nelle circostanze meno favorevoli.

Oggi nelle aziende è risaputo che chi ha una naturale predisposizione all’intuizione può avere la meglio sui chi conta essenzialmente sulla ragione. Non bastano lauree brillanti, bisogna saper usare le emozioni per capire gli altri, avere forza di volontà e saper lavorare in gruppo. Per le persone che sviluppano solo il QI ogni delusione è devastante, perché non sono capaci di riconoscere il proprio disagio sul nascere. Sono abituati a reprimere l’emotività, ma questa riaffiora d’improvviso con modalità autodistruttive e in certi casi con disturbi fisici.

Per capire se serve un allenamento emotivo basta chiedersi se si provano spesso sentimenti come tristezza, rabbia, paura; se si lascia che qualcuno, trattandoci male, ci rovini la giornata; se si hanno spesso reazioni emotive di cui ci si  pente; se ci si condanna molto severamente quando si sbaglia; se si fa fatica ad accettare i propri limiti; se si procrastinano le decisioni.

Domanda: si può aumentare l’intelligenza emotiva? Sì, perché, a differenza del QI, la crescita emotiva è un processo di tutta la vita. Si tratta di insegnare al nostro corpo a riappropriarsi della capacità di provare emozioni e sensazioni; allenare le risorse emotive e potenziare l’auto-consapevolezza, per conservare l’ottimismo e controllare i sentimenti negativi; essere perseveranti malgrado le frustrazioni e cooperare empaticamente con gli altri.

Quando verrà inserita nel curricolo della scuola italiana l’alfabetizzazione emotiva?

Enrico Vaglieri

Bibliografia: I. Filliozat, Il quoziente emotivo, PIEMME 2002

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